Il Pagliaio

 

A li tempi mia... (ai miei tempi), come siamo soliti dire noi di una certa età (si... insomma... con espressione moderna: noi vecchi!), non c'erano le macchine per pressare il fieno che te lo restituiscono "geometrico": cilindrico o a parallelepipedo.

Invece l'erba medica veniva falciata con la face fienara (falce fienaia), macchina relativamente semplice azionata a mano (espressione arcaica ormai in totale disuso che letteralmente significa "con le proprie mani" e per estensione: "con energia meccanica fornita da un motore a combustione interna chiamato corpo umano, alimentato per l'occasione con baccalà arrosto e vino cotto").

Dopo di ché si lasciava seccare al sole, senza mancare di rigirarla almeno una volta; quindi, con altra semplice macchina, anch'essa azionata a mano, lu forcò (il forcone), si raccoglieva in piccoli cumuli: le forcate (traduzione non disponibile). Così l'erba, divenuta fieno, era pronta per essere trasportata sull'aia. Ma a questo punto, immancabilmente, arrivava il temporale, e allora in tutta fretta e radunando tutte le braccia disponibili (anche della rmasta (zitella) addetta ai lavori interni della casa), le forcate si radunavano in alcuni punti del campo per lo più vicino a un arburu (deve intendersi l'acero maritato alla vite) e si costruivano le pagliarole (lett.: piccoli pagliai) per impedire che il fieno si bagnasse.

La pioggia arrivava sempre prima che il lavoro fosse terminato e allora le forcate, una ciascuno, rendevano lo stesso servizio di un ombrello, durante il tragitto per tornare a casa, allorchè venivano date alle vacche nella stalla, quale assaggio di primizia.

Arrivava così il giorno di fare il pagliaio! I vicinati erano stati allertati, lu vergà (il capo della famiglia contadina) si alzava presto (prima del rientro dalle discoteche) per stramà le acche (dar da mangiare alle mucche) e, a giorno fatto, tutti erano pronti: opre (vicinati aiutanti), vacche, carro e forconi.

Mentre alcuni restavano nell'aia a... calcolare la lunghezza del raggio del cerchio di base del pagliaio avente origine coincidente con l'apposito palo (detto anche stanga), altri, con il carro tirato dalle vacche, andavano nel campo e caricavano il fieno delle pagliarole sul carro e lo portavano nell'aia. Se si disponeva di altro paio di vacche, ma di un solo carro (allora raramente si disponeva di un carro per ogni patentato della famiglia!), alcuni passavano una corda intorno alla pagliarola (ma alla giusta altezza da terra) e la facevano trascinare intera dalle vacche fin sull'aia.

Gli addetti alla costruzione vera e propria del pagliaio erano in numero proporzionale alla grandezza di questo: di solito almeno un paio di uomini; almeno altri tre erano addetti a carregghià (a portare) il fieno ai costruttori, utilizzando anche dei sostegni improvvisati (e quasi mai a norma E.N.P.I.) quando il pagliaio raggiungeva una certa altezza.

Il nonno guidava il pagliaio (assistente ai lavori): armato di una lunga pertica con in cima la grastillina (piccolo rastrello), faceva cadere il fieno non ben aderente e rimbrottava i costruttori se si ritiravano o si allargavano più del dovuto (mettevano il fieno troppo dentro o troppo fuori).

A fine giornata tutto il fieno era disposto a formare, intorno ad un palo che sporgeva in cima, la figura geometrica di un cono molto irregolare a cui davano il nome di PAGLIAIO... anche quando era fatto di fieno!

Intorno alle case coloniche, di pagliai ce n'erano molti: quello della paglia, quello del primo taglio, del secondo taglio, e se la stagione era stata piovosa, anche del terzo e perfino quarto taglio (ma un po' più piccoli).

Questi rendevano il paesaggio molto caratteristico, ma ben diverso dai cumuli geometrici regolari, coperti da lamiere o teli di plastica variopinti, che oggi abbelliscono le nostre campagne.

Viva il progresso!

Il nostro pagliaio

 

A qualcuno piace avere davanti casa una spider, a noi piace tanto avere... un pagliaio! E quest'anno siamo riusciti a realizzarlo: non è molto grande, ma comunque sarà sufficiente a nutrire l'asinello Orazio, le pecore e i conigli durante tutto l'inverno. Poi il cane Zorro ci ricaverà la sua cuccia e starà caldo e anche i passeri, tra il fieno, staranno al riparo dal gelo nelle notti d'inverno e troveranno pure qualche seme con cui cibarsi.